giovedì 18 gennaio 2018

La Shoah delle ragazze

Tra i mille libri che mi costrinsero a leggere durante gli anni dell’obbligo scolastico, quello che ha contribuito a rendermi compulsiva ed onnivora fu Se questo è un uomo. La lettura di Levi provocò in me tantissimi interrogativi e domande che mi trasformarono in una lettrice esigente, attenta e a volte anche leggermente spocchiosa. Tanto e tale fu l’impatto di confrontarmi con quel periodo storico, che mi feci regalare un ciondolo con la stella di David che ho portato al collo per tanto tempo. Quando mi chiedevano se fossi ebrea rispondevo, con l’innocente orgoglio dei 16 anni, che non lo ero ma condividevo le sofferenze del popolo ebraico. Questo breve incipit di natura personale per far capire che questo articolo è molto vissuto e sentito.
Solo nel 2005 venne identificato il 27 gennaio, giorno in cui l’Armata Rossa liberò il campo di Auschwitz, per ricordare la Shoah. Venne così istituita la Giornata della memoria e da allora tutti i bambini e ragazzi delle scuole dell’obbligo devono confrontarsi per molti giorni, spesso senza essere stati adeguatamente preparati emozionalmente, con libri pensati per loro, almeno a livello editoriale. Credo non sia facile parlare della Shoah con i ragazzi e credo addirittura possa essere controproducente alcune volte. Quando mi sono imbattuta in Matteo Corradini me ne sono innamorata. Matteo si occupa di didattica della memoria e grazie ai suoi libri, è davvero possibile far scattare nei ragazzi quell'empatia necessaria a fargli capire che gli avvenimenti che gli raccontiamo, anche se per loro sono lontani nel tempo, sono accaduti a ragazzi e bambini coetanei e che dietro ad ogni angolo, dietro ad ogni negazione dell’altro, dietro ad ogni esclusione si nasconde un’ombra.
Anche questa volta amo Cuneo per aver organizzato, sia per i ragazzi che per gli adulti, un appuntamento per farci riflettere. La Shoah delle ragazze è un progetto curato da Matteo Corradini con il quale si darà voce alle parole di quattro ragazze: Anne Frank, Esther (Etty) Hillesum, Ilse Weber e Inge Auerbacher. “Quattro bambine, ragazze, donne diverse accomunate solo dal dolore e dalla voglia di uscirne. Quattro storie parallele nella storia della Shoah, con parole che si richiamano e ritornano”.  
L’evento verrà replicato tre volte venerdì 19 gennaio all’interno del Cinema Monviso. I primi due appuntamenti delle 9.00 e delle 11.00 sono rivolti alle scuole. Il terzo alle 18.00 è gratuito ed aperto al pubblico ma è necessario prenotare il proprio posto iscrivendosi all'evento. Il biglietto che verrà inviato via mail garantirà l'accesso alla sala (consentito fino ad esaurimento posti) fino a cinque minuti prima dell'inizio dello spettacolo, quindi entro le ore 17.55. Dopo tale orario, i posti che risulteranno non utilizzati saranno messi nuovamente a disposizione del pubblico che si presenterà in sede senza aver prenotato. Purtroppo visto la quantità dei biglietti rimasti nel momento di redazione del presente articolo che avrei voluto programmare almeno la scorsa settimana, temo molti di voi non potranno trovare i biglietti.

“Di sicuro la lontananza tra loro [i ragazzi] e questi eventi della storia è molto forte, più forte di quello che sentiamo noi, perché noi in qualche modo, noi della mia generazione abbiamo avuto la possibilità anche di incontrare dei Testimoni di ascoltare la storia da una posizione più privilegiata probabilmente. E invece per loro, per molti di loro, per molti ragazzi la storia e la Shoah sono degli episodi lontani nel tempo, come episodi di due tremila anni fa probabilmente.Allora il rischio è che li sentano davvero lontani; allora credo che una delle possibilità sia proprio quella di passare attraverso le storie personali e le storie spesso sono quelle che ti lasciano più segni addosso sono anche quelle in cui possiamo trovare qualcosa di noi.
Le storie dei loro coetanei per esempio sono importanti; se un ragazzo a 11 anni legge che cosa è successo a un ragazzo di 11 anni 70 anni fa, forse riesce a capire qualcosa, se una traccia di quello che successo può rimanergli dentro.
Io non uso mai la parola identificazione perché credo sia impossibile identificarsi in una persona che ha sofferto nella Shoah e nessuno libro potrà mai aiutarci a farlo e nemmeno nessun laboratorio di didattica della memoria deve aiutare i ragazzi a identificarsi perché così sarebbe poco rispettoso di chi ha sofferto per davvero però avvicinarsi con gli occhi più aperti quello è una cosa che si può fare”.
(Matteo Corradini)




Nessun commento:

Posta un commento